11 aprile 2010

O SIETE VIVI O SONO MORTO ANCH’IO


2008. 06.01. Roma. Ho espresso la domanda di un mio amico non convinto della sopravvivenza di almeno un qualcosa di “psichico” dell’uomo, e d’altra parte, non rassegnato a che tutto finisse con la morte. Non trovava ragioni biologiche, filosofiche o religiose al tormento. Tanto meno lo interpretavano le saccenterie illuministiche che alcune trasmissioni “scientifiche” propinano come “ultime, finalmente chiarificatrici e indiscutibili riletture dei misteri che l’uomo si trascina dentro” …o che un Dio potrebbe essere venuto a “rivelarci”.

Quando visito il nostro cimitero
mi fermo ad ogni tomba e guardo
i vostri volti, o amici dall’infanzia,
così nostalgici, così presenti…

Ma sono io a pensarvi, o voi con me?
Se più non esistete qui né altrove
perché sognare tante evanescenze
e alimentare inutili chimere?

Più non mi basta la credenza antica
d’un Ade d’ombre o di dimore eterne
insieme a un Nume che nessuno ha visto.
Ma come accerto che sopravvivete?

E, se viventi, come ripensate
ai corpi non più vostri, ad ogni cura
e moda e relazione e compiacenza
o rabbia o ripugnanza espresse in essi?

Che malasorte spremere energie
per lampi di bellezza o di prestanza
se tutto si scompone in una bara…!
Riprenderete il corpo? E come? E quando?

Lapidi e foto e splendide parole
non fanno più sereno chi vi perde
né più reali voi dell’oltretomba…
O siete vivi o sono morto anch’io!

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