Papà dolcissimo,
quanta trepidazione m’infondesti
la notte di quel sogno...
Sembravi giunto da lontano, molto
lontano; e mi guardavi
con una tenerezza affaticata
quasi dovessi dirmi
un non so che di grave.
T’interrogavo gli occhi
e il cuore
e quel tuo amore
per ogni figlio
e la tua vita d’ora,
la voce stessa così tersa un tempo …
ma rimanevi muto
come se forze occulte t’impedissero.
Col tuo sorriso immobile
tu mi ferivi
l’ansia d’una risposta.
Sembravi richiamare
un’insipienza antica
quasi nemica
delle beatitudini del cielo.
Appena tesi il corpo verso te
per abbracciarti
in un sobbalzo
d’inquieti sentimenti
tu accennando col capo ad un saluto
ti dileguasti
in un azzurro che non era azzurro
lasciandomi più solo;
ma mentre ripiegavo sul mio io
udivo dal profondo
un bisbiglio
come da un altro mondo
che s’espandeva in un crescendo d’echi:
“Perché, perché, perché non t’apri tutto
a quel Mistero che non sa che amare?”
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