20 maggio 2010

TRA LE ANDE


Sento cantarmi ancora immenso il volo
dei condor tra le cime delle Ande:
correnti d’aria pregne di profumi,
grida di gioia, ali spiegate e immobili
tra sole e nubi e picchi e precipizi
sul cuore gonfio dei torrenti in piena;
errano come sogni liberati
dall’intristita frenesia dei giorni
in ampi giri pieni di mistero.


Ma sento risalire anche il silenzio
d’alberi abbarbicati l’uno all’altro
che succhiano con brividi invisibili
l’acqua tra i muschi delle rocce;
ed ogni foglia è immersa nell’ebbrezza.
Vibrano in esso e sole e luna e stelle,
e il buio ostile della selva e grida
e sobbalzi sfuggenti d’animali
e il trepido mistero d’ogni parto.


Alberi amici, quanto siete veri
dicendomi il sapore della vita
pur tra intricati, oscuri fondovalle!
Condor in volo sulle nevi eterne,
con quanta poesia mi ritessete
l’incanto d’orizzonti oltre ogni morte.
Con voi mi affiora impercettibilmente
la nostalgia d’un Grembo ch’è da sempre
e mi riavvolgerà nel suo mistero.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi come me é nato tra le Ande e quasi le respira, non può provare che la nostalgia di quanto é scritto in questa poesia tanto vera, interiore. Grazie a chi l'ha scritta. Un suo Confratello prete de America latina (purtroppo) residente a Roma per ragioni di servizio.

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe essere pianta o uccello... per non dover riflettere. Vivere o volare e basta. Il presente e basta. Il resto è tormentismo. xyx Avellino

Anonimo ha detto...

Caro 21 maggio, i preti sono per loro natura dei "tormentismi". E che cos`è una religione? Un aprire le porte al tormento del futuro. La vita consiste nell'essere presenti al presente. Francesca 000