21 giugno 2013

Non si può non ricordare Antonio

Antonio, nono fratello Magrin su quindici viventi,  muore di tumore osseo il 12 maggio 1996, a 51 anni. Faceva l’infermiere all’Ospedale di Vicenza, definendosi “tecnico delle pulizie”. Non aveva titoli di studio ma una intuitività rara, una polivalenza di attitudini pratiche e molta contemplatività. La sua passione per gli impianti elettrici e idraulici, la sua sensibilità per il“grandioso” e l“ascensionale” (cielo, montagne, acqua, luce, volo) lo affinarono nel cogliere anche la “grandiosità” del Trascendente; perfino la grandiosità del dolore, come “forza e dinamica redentiva”, come “centrale elettrica dello spirito”. Lo si capisce meglio se si pensa che era consacrato come altri sette figli, su quindici....
A 17 anni dalla tua morte, Antonio carissimo, i tuoi fratelli, con me e i Membri dell’Istituto Secolare di Cristo Re, abbiamo rivissuto assieme momenti forti di famiglia e della tua eccezionale quotidianità.... che vorrei comunicare ad altri con questa  mia poesia che fa parte del volume : Sei l'unica poeasia che mi resta....
AL FRATELLO ANTONIO

Fratello nostro Antonio
sono dieci anni ormai e non ci sembra
da quando ti guardammo lacrimando
immobile
in quella bara stretta,
gli occhi chiusi per sempre
il tuo sorriso spento
ed il ginocchio a stento
piegato quasi ti dolesse ancora.

Per noi tu resti sempre l’altro Antonio
che dilatava
le grandi braccia e il cuore
contemplando le aurore
ed i tramonti
sulle pianure venete
mirando le sue stelle così vive
così struggenti nelle notti estive;
l’Antonio puro che s’affascinava
per le bufere, i lampi e i tuoni e il vento
radente a pettine
sugli alberi e sui prati,
per le montagne  e i loro picchi altissimi
per i ghiacciai e i boschi e gli strapiombi
e i rombi
delle cascate
e il loro schiumeggiare
turgido, onnipossente più del mare.

 Più non risuona il passo tuo marziale
lungo i sentieri delle Dolomiti
fino ai bastioni della prima guerra;
né la tua voce quando ci narravi
le dighe e le centrali
con i piloni a croce e i fili ad arco
sopra le colline
in fuga quasi verso la pianura
ed i canali per l’irrigazione
le pompe ed i motori
e il loro canto
e i tuoi lavori
dove spendevi le ore tue più belle
e ad ogni tua conquista rigioivi
con l’irrompente ingenuità d’un bimbo.

 Ancora ci ritorna
lo sguardo tuo incantato
nell’inseguire il volo
degli aviogetti con le loro scie
quasi fili di lana nell’azzurro
bianchi, incrociati
con quei significati che tu davi
fragili e grandiosi.
Tu reintrecciavi in essi i tuoi ricordi
ed i tuoi sogni
il viaggio in Africa,
per ridonare luce ed acqua limpida
anche laggiù
ed il pellegrinaggio in Palestina,
terra di morte e di resurrezione
e d’ascensioni verso quell’Eterno
Crocifisso che tutto trasfigura,
anche il dolore.

 Ed Egli, il Crocifisso per amore,
negli anni più maturi
ti volle suo per sempre e totalmente
fino al calvario d’una malattia
senza speranze.
Tremavano i tuoi occhi di stupore
al suo e al tuo patire
ma t’affidavi a Lui,
a Lui, Parola viva che non muta
e nel tuo andare pieno di travagli
stringevi due stampelle ed un sorriso
che aveva un non so che di paradiso.
Nella fugacità dei giorni, tutto
cambiava volto ed una nostalgia
diversa t’assaliva;
gradivi visitare il camposanto
dove papà già stava,
e i suoi silenzi
e là ascoltavi a lungo, rileggendo
i nomi degli “amici di domani”.

Tu ripetevi: “Mamma,
non domandarmi perché io stia partendo;
ritornerò, ritornerò volando
attorno a questa casa
come gli uccelli, come gli aviogetti
per rinarrarti quanto è vero il sogno
che feci di papà
quando le notti dopo la sua morte
immerso nell’azzurro mi diceva:
Leggi quel salmo, leggi:
Tutto è una meraviglia agli occhi nostri”!

 Antonio, piccolo, virente fiore,
- così è il tuo nome -
che amavi riscrutare i cieli e i monti
con l’inseparabile cannocchiale
cercare l’acqua con le verghe a forcipe
e prevedere il tempo e le stagioni,
ora che stai lassù
e vedi l’universo e le sue ere
in un tutt’uno
con la Sorgente che non ha mai fine,
noi ti sentiamo
in volo
fino alle nostre case
leggero quanto il soffio dello Spirito
e là indugiare
per farci emergere quell’io profondo
che tanto inquieta e sfugge
ed impregnare l’attimo presente
della divina sua lungimiranza.

 

 

 

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