16 ottobre 2013

SONO UNA FOGLIA STANCA DEL SUO RAMO



 Nel 2005 mi trovavo a Toumbouktou (Mali) sulle rive del Niger. A chiusura del Ramadam, andai a salutare anche l’Iman. Uscito dalla Moschea, fui invitato da uno dei 27 cristiani a benedire una ragazza morente di Aids. Stava stesa su una stuoia nell’ingresso buio di casa, assistita dalla mamma.
In altri tempi e in luoghi a maggioranza assoluta cristiana, incontrai altri giovani… consumati da alcool e droga e sesso sbagliato…; e altri finiti suicidi! Quasi sempre per “vuoto di Dio”, per “ fede perduta” o mai “proposta”!  Mi hanno suggerito questa poesia…
La fioritura “di venditori ambulanti di verità inventate” sta ad indicare esattamente che, nell’era della scientificità, i millantatori sono più che mai numerosi e creduti; e, paradossalmente, in  proporzione che non sono credibili… D’altra parte, le persone credibili in  base alla serietà del loro comportamento e all’obbiettività filosofica dei loro ragionamenti,  non sono credute!
Di qui la fatale deriva dei giovani che arrivano a non credere più a niente e a nessuno; neppure a se stessi. E preferiscono “il delirio del piacere immediato o  della morte;  del suicidio”...
La fede “umana”, e tanto più la fede “trascendente” che sgorga e aderisce ad un Cristo crocifisso e risorto, e fa stare accanto al “disgraziato”, amandolo com’è e assistendolo da dov’è, si vorrebbe che non facesse  parte del retaggio politico-culturale  europeo.  Ci si domanda:  Alla fine dei  tempi  quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc 18,8).

Di qui, la poesia che segue:
 

SONO UNA FOGLIA STANCA DEL SUO RAMO

  Sulla stuoia all’ingresso della casa
con gli occhi tesi,  il corpo scheletrito
lei, diciott’anni appena, mi guardava 
scavandomi nell’intimo l’affanno
di vederla già in fondo al precipizio.

Muovendo il capo, a sbalzi sospirava:
“La vita è la coscienza d’un  morire
è un bagliore, nient’altro che un bagliore,
un fulmine che uccide la speranza
d’un cielo azzurro,  d’un giardino in fiore”

“Sorella,  -le risposi-  per chi crede

lassù, tra le montagne del tramonto
c’è  un valico sfibrante ma che s’apre
su versanti di luce, di pienezza,
dove non c’è dolore, non c’è angoscia ”.

E lei: “Fratello,  il niente resta  niente

la sofferenza una  malizia aggiunta
la fede  l’illusione d’un demente
che non conosce l’urlo del nonsenso
umano e cosmico salirgli dentro”.

Gli occhi negli occhi, percepii l’abisso;
una distanza  muta tra due vite
la mia e la sua…  bruciata al primo sole.
Scrollai la testa, le sfiorai i capelli
come per dirle addio; ma lei fissandomi:

“Sei prete, tu?”.  “Sì, -le risposi- un prete
che vale niente e  poco ti capisce;
che  avverte a stento il fremito di Dio
nella foglia che trema come te
quando il cielo si  scatena in lampi

o…  nella madreselva che profuma
soltanto a sera,  dietro un muricciolo,
o… nelle prime stelle della notte
speranze lontanissime anni-luce
anche se così immense, così vere”…

 “No, prete, no! La  vita è  cecità…
Sono una foglia stanca del suo ramo
consumata dall’alcool,  dalla droga;
non credo che alla morte e al suo  delirio!
…Prete, ma tu … che sai dell’aldilà”?

 

 

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