Luglio 2000. In una valletta delle Alpi Venete, sperduta e senza sbocchi, con una rumorosa cascata a monte, si trovava una Chiesetta romanica, ben restaurata dalle Belle Arti. I pochissimi anziani rimastivi continuavano a tenerla come “centro affettivo” del loro mondo così estraneo all’ossessività tumultuosa dell’apparire suggerito dalla cultura moderna.
Dall’alto della Pieve tra gli abeti
discendono i rintocchi della notte
mentre la luna appare e li accompagna
tra nubi in fila sopra la montagna
da dove la cascata ti rintrona
quasi oscura sinfonia di spiriti
che cercano, invisibili, lassù
qualcosa che fu loro e non è più.
In questa valle chiusa tra le rocce
non c’è che il bosco, una stradina e prati
e poche case fuori della storia,
sospese come quadri alla memoria.
Già da mille anni la campana annuncia
l’alba e il tramonto ai contadini, adusi
a coltivare il campo e... l’uomo vero,
come eremiti dentro un monastero.
E dai coltivi lungo il giorno parlano
con l’acqua, con le piante e gli animali,
coi loro morti attorno alla chiesetta
e con quel Dio che, sentono, li aspetta.
Di tanto in tanto, il loro sguardo s’alza
lento, solenne verso il campanile,
ed annuendo fan la croce in fronte
attratti a un invisibile Orizzonte...
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